Uomini nel pallone
Gli uomini di oggi sono informi, extra large o extra small, fatti di pongo per intenderci o di sapone liquido.
Li hanno convinti con la pubblicità di sederi e bocche a culo di gallina che basta il sesso per addormentarsi ed edulcorare un po’ la vita. E loro sono lì fermi sospesi, catturati e instupiditi. Calcio, figa e un’enorme tetta gigante su cui dormire e farsi il pisolino mentre un tiro di pallone arriva in porta. Goal!
Li prendono da piccoli, li catturano a suon di Sky, e poi tutto ruota intorno alla rete, al piede, al tocco, tacco e punta, e il pallone spalloneggiando va e li cresce fino a che arrivano a vent’anni e non sono cambiati affatto. Di anni continuano ad averne otto, nove, al massimo dieci e la vita passa davanti a una partita, rapiti da una Play, dal calciomercato, e dal tabellone di Belen che svetta a due passi dal cielo.
Poi capita che a un certo punto, quasi per caso, incontrano una donna, una donna vera, non Belen. Succede in una delle pause da Playstation, quando ancora fumati si ritrovano al bar, e fanno fatica a distinguere la tazzina di caffè e a non prenderla per Higuain… Fatto sta che s’imbattono in un esemplare di genere femminile e inizia la fiction.
Perché quella donna indaga, vuole vedere, capire cosa c’è dietro “cazzo, figa, tetta e goal” ed è qui, esattamente qui, che lei si ritrova tra le mani l’ammasso liquido, informe, che c’è ma non c’è ma se vuoi, ma se mai, ma perché… Cosa vuoi!?
Le ragazze non si accontentano dei tasti da pigiare per vincere una partita. Lei è cresciuta, le cose se l’è chieste non si è fermata al calciomercato (sulle donne la Play non fa molto effetto)... Ma lui?
Lui dopo aver cercato inutilmente e disperatamente Belen nascosta nella tetta della mamma, inizia a danzare il minuetto della fuga, niente impegni, mi raccomando... “Non so se ti amo, ma dai… stiamo insieme senza starci, con la finestra aperta casomai manchi l’aria...” Devono entrare degli spifferi se no è tutta calma piatta, rotta soltanto da lei che vuole parlare. Parlare, riflettere, spiegare. Psicoanalizzare lui e metterlo sotto accusa, farlo a fette, a pezzi, sfilacciato, sfilettato. Condirlo e mangiucchiarlo per cena al posto dell’insalata.
Frastuono. Chiacchiere…
Lei continua a parlare. Ma di cosa vuole parlare? Non bastavano tacco, tocco, punta e tetta?
C’è che lei è ingombrante, pesante, fastidiosa e rompipalle, mentre lui che ha ingoiato il succo dell’insostenibile leggerezza dell’essere oscilla tra David Copperfield, Macchia Nera e il fantasma di Notre Dame.
Finché lei affranta finisce dallo psicologo per capire lui chi è, come mai l’ha portato con sé, il suo nome infine qual è…. E a farsi spiegare come mai ogni sera parla col frigorifero e fa discorsi esistenziali con la tronchesina.
E lui si sente perseguitato dal peso delle richieste, possibile che lei non capisce che tutto si risolve in una trombata?!
Meglio ritornare di testa nella Playstation.
E per dimenticare si fuma l’asta del calciomercato.
Inutile cercare soluzioni. Il divario è enorme perché è una questione di codici linguistici.
Non è che le donne sono gelose, fissate, malate, ossessive e isteriche e gli uomini inconsistenti, inesistenti, fumosi e evaporati.
È che ci vogliono così. Come Jessica Rabbit ci disegnano e poi se ne dimenticano…