Un Avatar nel mondo di domani
Nelle estati di quando ero bambina, mia mamma e mia zia organizzavano per me e le mie cugine autentici corsi di economia domestica.
Ci riunivamo nel loggiato antico di famiglia e lì con i telai si ricamava ed era tutto un tripudio di punto a croce, punto a giorno e punto assisi. Il rovescio doveva essere rigorosamente come il dritto, non si dovevano vedere fili appesi e grovigli, e si stava noi tutte raccolte in mistico silenzio, senza dire una parola come i monaci tibetani quando disegnano i mandala sulla sabbia.
Era il tempo dei punti e delle pause, dell’atmosfera rarefatta, della quiete intrecciata ai gesti. Ed erano gesti calmi, arcaici, di riposo dove si ritrovava la naturale intimità femminile fatta di sguardi, cenni e armonia di mani.
Frattanto i grilli frinivano e le cicale cantavano suggellando il cammino del sole su nel cielo che prima raggiungeva l’apice, poi si affrettava a scomparire rapido tra le vette aguzze delle montagne.
Mi volto e mi ritrovo al giorno d’oggi.
Adesso ogni donna veste i pantaloni, deve dimostrare di saper essere, di fare, di riuscire, di raggiungere ogni obiettivo messo in fila.
Ci si riunisce in ufficio, in palestra, al bar, all’aperitivo e ai tavolini si fa a gara a chi è la più brava, la più bella, la più in tiro.
Si parla, ci si impegna al gioco di chi sovrasta, di chi ha la voce più forte, non è importante cosa si dice, l’importante è sgomitare, prendersi spazio, dimostrare che si esiste. Si chiacchiera, continuamente ed indistintamente, ci si affoga in un fastello di parole. Si intesse il nulla, appesi ai cellulari, ad affollare gli I-phone di messaggi, si scrive su Facebook interpretando parti, inventando personaggi completamente inesistenti, ribattendo valori che non si conoscono nemmeno o litigando su cazzate. E sono gesti di ansia sincopata, di malesseri congiunti, di aria fritta.
Frattanto i clacson strombazzano, il tempo recita la farsa, le strade rigurgitano di traffico, le metropolitane rigurgitano di gente, si sta in ritardo perennemente a correre sul filo.
È il tempo del “non c’è più tempo”, della competizione a basso costo, dello sguardo raso terra che non sa più che cosa è il cielo.
A volte mi capita di fermarmi, perdo la corsa della metro volontariamente, non ascolto, mi incanto, mi sconnetto. Ci sono ma non ci sono più, consegno in pasto il mio Avatar tutto truccato, composto, ma io sono lontana, ritorno lassù sulla montagna, lì dove si sente il rumore del silenzio che riempie l’anima e la fa vacillare, lì dove l’infinito è uno stato di meraviglia.
La gente crede che il mio Avatar sia reale, che partecipa alla fiera, che corre e salta.
Forse ci sono tanti Avatar come il mio messi su per permettere alla gente di fuggire.
Non è lontano il giorno, io ci credo, in cui ci trasferiremo tutti, ma proprio tutti sulla montagna del tempo rarefatto, e qui lasceremo i nostri Avatar, a recitare il ruolo delle persone “merci”, che devono comprare, correre e raggiungere obiettivi finti.
È il mondo di domani.