Lunedì, 29 Aprile 2024

Il Patriarcato liquido

Esiste ancora il patriarcato nel regno della virtualità liquida?

Sì. È un nuovo modello di patriarcato che non ha più le caratteristiche del patriarcato di un tempo, ma esiste.

Esiste perché Resiste.

R-esiste nella cultura, nei modi di pensare, nelle parole, di uomini e donne.

Esiste come retaggio di un antico dominio che ha caratterizzato la lettura del mondo per svariati secoli. Insidiato nella memoria, radicato nel culto laico, nei modi di dire, nell’educazione, nei luoghi comuni che caratterizzano anche i dialoghi delle donne.

Si potrebbe sintetizzare in una sola parola: privilegio. Il privilegio di casta del nascere uomini.

È ancora un privilegio nascere uomini come dicevano gli antichi detti beneaugurali “auguri e figli maschi”?

Il privilegio è culturale perché la cultura persino delle donne è profondamente maschilista e patriarcale, non ha mai davvero valorizzato il femminile, non ha mai creato valore e significato con le caratteristiche profonde dell’energia femminile, ha bandito quei contenuti, li ha relegati al dio minore. Parlo di quegli attributi specifici dell’emisfero cerebrale “yin”, intuitivo, artistico, simbolico che sono caratteristici di un altro modo di essere che appartiene al generare, com-prendere, empatizzare, accogliere e dissolvere per divergere, tipici dell’aspetto complementare del maschile, razionale, tecnico e pragmatico.

Nel Tao, simbolo al centro del pensiero cinese e della religione taoista, l’energia femminile, yin, e l’energia maschile yang sono in perfetto equilibrio e si fondono come in una danza. Nel nostro mondo c’è uno squilibrio paradossale, l’energia yin imita l’energia yang rinnegando la sua peculiarità. Frattanto l’energia yang si è già dissolta in un gioco illusionista di Houdini, una specie di horror vacui, ma restano delle tracce deformi che proprio perché vuote di senso sono aberranti e generano entropia.

Se apriamo un social molto usato dai giovani come Tik Tok vediamo una carrellata di ragazze che mettono in scena il proprio corpo per guadagnare, che raccontano di una presunta libertà sessuale dove il corpo privato di ogni valore diventa “contenuto” da offrire… Producono “contenuti” che spesso sono scenette hard filmate col boyfriend di turno per solleticare i sensi del voyeurista di passaggio…

E questa a loro avviso sarebbe la liberazione della donna.

No. Tutto questo va chiamato col suo vero nome: è patriarcato maschilista.

E vogliamo parlare di quanto patriarcato maschilista c’è nella donna di oggi che pur apparentemente autonoma e realizzata continua a essere dipendente dal rapporto col maschile e trasmette al figlio quel privilegio sotterraneo, serpeggiante, della madre chioccia italiana tesa a rendere il figlio dipendente a tempo indeterminato dal materno?

Quella donna che al lavoro porta i pantaloni (altro retaggio maschilista, perché al lavoro una donna per essere capace deve portare i pantaloni…) a casa torna a voler essere donna così come le è stato trasmesso da sua madre, che a sua volta lo ha ereditato da sua nonna… Vorrebbe imitare quel vecchio modello ma conosce solo la forma apparente non il fulcro profondo, così coccola il figlio senza dargli quel senso di concretezza, verticalità e misura che madre e nonna davano alle loro famiglie.

La tradizione familiare che un tempo aveva un significato perché radicata in un mondo di valori essenziali oggi non ha più alcun significato, e si fonde in modo imprevedibile al senso di inesistenza della virtualità senza nome, creando i presupposti per un’aberrazione: il regno di un patriarcato nichilista e liquido.

Un patriarcato prima di tutto paradossale, poi ottuso; violento nei contenuti, assente di spessore che conserva il privilegio ben nascosto sotto il tratto dell’eterna adolescenza.

La madre che impedisce al figlio di crescere, imprigionandolo nella bolla dell’eterno Peter Pan, non sa che ha smarrito per strada la sua vera identità femminile. Il padre che a sua volta è ugualmente “fluttuante” e in bilico e non sa chi è, non ha più quella forza identitaria che avevano i nostri nonni, abituati a confrontarsi col dolore del vivere come pane quotidiano, perciò contagia inconsapevolmente il figlio col virus dell’intrattenimento distrattivo. Insieme ci si vede una partita, ma spogliati del senso profondo del dolore si sopravvive tagliati via dalle emozioni, dal vero volto del femminile, mutilati… senza spessore, astratti in chat, distratti da ogni e qualsivoglia tipo di impegno.

Le donne contemporanee sono esenti dal privilegio?

Ricordo ancora una riflessione antropologica molto interessante su cosa accade quando in una società si perde il rito di iniziazione all’adultità. Nelle culture arcaiche il rito di passaggio è un momento importantissimo.

Nelle società primitive quando un ragazzo diventa adolescente, la piccola comunità lo accompagna all’esperienza iniziatica del divenire adulto, che prevede tre tappe: l’allontanamento dalla comunità, il confrontarsi con il dolore e il pericolo, e poi il ritorno. In alcune culture dell’America Latina, a 15 anni si viene lasciati da soli nella foresta per tre quattro giorni, a procacciarsi il cibo, a proteggersi dai pericoli e a confrontarsi con le proprie paure.

Dopo si viene riaccolti e la comunità celebra l’ingresso dell’adolescente nella dimensione della maturità.

Un tempo il rito di passaggio era naturale, perché era naturale l’allontanamento dalla famiglia. Si andava via presto, poco più che adolescenti, via dai piccoli centri rurali in altri centri più grandi per studiare, si andava in collegio, si andava in guerra… Si cresceva presto e ci si confrontava con la perdita, col dolore, con il limite e con la difficoltà. Oggi si resta adolescenti fino a tempo indeterminato protetti da famiglie non famiglie, presenti ma assenti, inglobati in una palla di confort sintetici, anestetizzati dal dolore e instupiditi dal consumo.

Nelle ragazze però accade qualcosa di diverso. Hanno un appuntamento iniziatico col corpo che non si può rimandare. Diventano adulte col ciclo mestruale, vero e proprio rito di passaggio che le porta a confrontarsi in modo simbolico col sangue, col dolore, con la morte di qualcosa e la naturale rinascita.

Questo rito iniziatico che le renderebbe più adulte, a contatto con la realtà della vita, con la verità del corpo e la sua sacralità e non soltanto con la virtualità robotica, si scontra con il modello imitativo della bambola omologata, prodotta dal modello patriarcale.

È questo squilibrio fondamentale, che non si può colmare con la ripetizione della parola giusta o con un’educazione orizzontale all’eticamente corretto, che rende gli uomini di oggi i “protagonisti privilegiati” della cultura consumistica/narcisistica.

E le donne vittime inconsapevoli, ancora in cerca di se stesse.

Cioè di un mondo che dia valore e libertà di essere,  che confermi il sentimento e il significato, la profondità e lo spessore.

Chiara Tortorelli
Author: Chiara Tortorelli
Creativa pubblicitaria, editor e scrittrice, vive a Napoli dove inventa nuovi cultural life style: come presentare libri in maniera creativa e divergente, come scrivere i libri che ti piacciono davvero, come migliorare la creatività e il benessere personale con metodologie a metà strada tra stregoneria e pensiero laterale. Il suo ultimo libro è “Noi due punto zero” (Homo Scrivens 2018). Cura per Napoliclick la rubrica “La Coccinella del cuore”.

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