Venerdì, 03 Maggio 2024

Associazione Jonathan: “Salvate il Progetto Jonathan – Vela per i minori a rischio”

Riceviamo e pubblichiamo la lettera firmata dai due responsabili dell’Associazione Jonathan, Silvia Ricciardi e Vincenzo Morgera: un appello alla città a salvare il Progetto Jonathan – Vela rivolto ai minori dell’area penale di Napoli. Ecco di seguito il testo.

Scriviamo questo appello alla città, alle sue Istituzioni e alla sua società civile con grande rammarico e con una sensazione forte di frustrazione che non ci impedisce, tuttavia, di denunciare quello che crediamo possa essere definito senza mezzi termini la morte del Progetto Jonathan – Vela rivolto ai minori dell’area penale, a seguito della comunicazione, pervenutaci in data 22/4/24, relativa alla revoca dell’autorizzazione all’ormeggio della nostra imbarcazione “Blue Marlin II” presso il posto 13 della Darsena Acton.

La decisione, presa dall’Autorità Portuale di Napoli, di revocare l’ormeggio, a causa di un ritardo nella presentazione della richiesta, comporta di fatto il fallimento del Progetto Jonathan Vela. Un Progetto che è ormai centrale nelle attività dell’Associazione Jonathan che, da oltre trent’anni, lavora in regime di convenzione con il Ministero della Giustizia accogliendo nelle sue comunità, Jonathan e Oliver, minori dell’area penale.  

Dobbiamo sottolineare che il ritardo che ci viene contestato non è figlio di dimenticanza o negligenza ma della consuetudine: abbiamo cioè adottato la procedura che adottiamo da anni, ogni semestre: quella cioè di inviare la nostra richiesta circa quindici giorni prima della scadenza. Una procedura rispetto alla quale non solo non abbiamo mai ricevuto obiezioni, ma nemmeno indicazioni su eventuali correzioni da apportare. Una modalità che pensavamo fosse corretta, che in sostanza fosse una regola.

A seguito della revoca dell’ormeggio, nella giornata di lunedì 22 aprile, abbiamo immediatamente scritto una lettera in cui, esprimendo il nostro rammarico per il disagio arrecato all’Autorità Portuale, chiedevamo la sospensione del provvedimento di revoca ed un incontro con il Presidente Annunziata che, gentilmente, ce lo ha concesso questa mattina.

Abbiamo chiarito ulteriormente come tale decisione sancisca, di fatto, il fallimento del Progetto Jonathan Vela, giunto ormai alla sua quindicesima edizione. Abbiamo fatto presente al Presidente che negare, per mere questioni burocratiche, l’ormeggio alla nostra barca, dopo che nelle precedenti dieci occasioni, con le stesse modalità di presentazione ci era stato concesso, equivale ad affondarla quella nostra barca. E con essa il Progetto Vela e tutto quello che rappresenta per i ragazzi che accogliamo nelle nostre comunità.

È una sconfitta, ma non una sconfitta nostra. Ed il fatto che non sia “nostra” non ci rincuora, anzi ci annichilisce, perché ci squaderna davanti, in maniera durissima, la vita di questi ragazzi, in carne ed ossa, la privazione di una possibilità, in certi casi l’unica che hanno ricevuto fino ad ora.

Una sconfitta delle Istituzioni perché chiude con questa decisione un’esperienza educativa e formativa di punta che stava traghettando dalla devianza alla legalità minori in conflitto con la giustizia. Ragazzi fragili e non garantiti che si trovano ai margini del sistema delle opportunità e della cittadinanza.

Una revoca perentoria nei termini e nei tempi, ribadita anche questa mattina, de visu, dal Presidente Annunziata. Un atteggiamento che ci ha fatto vacillare perché non ci lascia spazi di manovra, visto che non siamo assolutamente nelle condizioni di permetterci un ormeggio alternativo. Capiamo che la burocrazia si regge sulle regole ma bisogna fare in modo che nella loro applicazione non si creino ingiustizie. Esiste una regola universale di tutela degli strati più deboli della popolazione a cui tutti siamo chiamati a rispondere con responsabilità. Si badi bene, non è la richiesta di un favore, di una corsia preferenziale, semmai la richiesta di essere ascoltati, e se proprio ci sono delle regole rigide, intransigenti ci si dia modo di allinearci, anche se fino ad ora era andata bene così.

Anche nel codice penale, che è la Bibbia delle regole e delle norme nel giudicare un reato, ci sono le attenuanti e le aggravanti. Ebbene nel valutare il nostro ritardo le attenuanti da considerare sono che usiamo lo stesso metodo da anni e nessuno non solo ci ha mai contestato niente ma nemmeno ci ha chiesto di modificare quel metodo. Oggi questo metodo, con pugno fermo, viene condannato senza appello. Nel non rispetto della regola senza se è senza ma, colpevoli di negligenza e per questo puniti senza attenuanti. 

Per chi ci condanna non ha alcuna importanza se la vera punizione viene inflitta ai ragazzi che si vedono privare di una concreta opportunità educativa, formativa e sportiva, fucina di buone pratiche che supera i pregiudizi che da sempre accompagnano i ragazzi dell’area penale e crea un ponte tra il loro mondo e quello della società civile. Si toglie la possibilità di utilizzare un bene pubblico come quello dell'ormeggio ad una realtà che in questi anni è sempre stata in prima linea per la legalità e nel contrasto alla camorra.

Il lavoro sociale fatto con passione e non per mestiere consuma, questo è certo. Ma non ci tiriamo indietro, non possiamo accettare passivamente l'assuefazione al fatto compiuto di una burocrazia che uccide la speranza. Una speranza costruita con enormi sacrifici economici (la gestione e la manutenzione di una barca è un pozzo senza fondo) ma anche umano, per l'impegno, la dedizione, la responsabilità profusa in questo sogno di normalità, condiviso con i ragazzi.

Abbiamo la responsabilità di difendere il lavoro fatto, i sacrifici sostenuti, i risultati ottenuti. E lo dobbiamo fare perchè per il ruolo che svolgiamo siano chiamati a difendere i diritti e gli interessi dei ragazzi che accogliamo cercando, con loro e per loro, di offrire servizi vicini ai loro bisogni, per costruire strade alternative alla cultura deviante e criminale.

E nel fare questo abbiamo bisogno della partecipazione e del coinvolgimento della società civile e in primis delle Istituzioni, dal Sindaco di Napoli al Presidente della Regione, al Ministero della Giustizia - Centri per la Giustizia Minorile di Napoli per sensibilizzare e sollecitare l’Autorità Portuale di Napoli a rivedere una posizione estremamente punitiva nei confronti prima dei ragazzi e poi di un Progetto.

L’alternativa è affondare una esperienza che ancora oggi è un modello di buone pratiche estremamente innovativo che trasforma il branco, quello della cronaca nera, in equipaggio rispettoso delle regole e della legalità. Una rivoluzione che porta all’inclusione. Ricordiamo inoltre che il terzo settore, per svolgere il compito di sussidiarietà che la società gli ha assegnato per sopperire ai vuoti dello Stato, necessita non solo del sostegno ma anche del riconoscimento del valore del lavoro che svolge. Ecco, siamo fiduciosi che l’Autorità Portuale possa sostenere questo ruolo di sussidiarietà che svolgiamo concedendoci quelle attenuanti conquistate sul campo per darci la possibilità di continuare a costruire un futuro diverso per i nostri ragazzi.

Silvia Ricciardi e Vincenzo Morgera (Associazione Jonathan)

Author: Redazione

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