Napoli, i cortei e la solita storia

È sempre la stessa storia. Centinaia di migliaia di persone scendono in piazza per chiedere la pace, riempiendo le strade di città grandi e piccole eppure, a finire in prima pagina sono le immagini degli scontri: cariche, fumogeni, vetri infranti. Così ieri, con i cortei a Napoli e in oltre ottanta città italiane: un movimento diffuso, partecipato, che viene raccontato soprattutto attraverso le sue eccezioni, non la sua sostanza.
“Guerriglia a Milano su Gaza”, “Guerra agli Italiani per la Pace a Gaza”, “Violenza Pacifista”: sono questi alcuni dei titoli dei quotidiani di oggi.
A Napoli, come altrove, la parte rumorosa e minoritaria ha avuto più spazio mediatico della folla compatta e pacifica. Non si è raccontato degli studenti che hanno scelto di abbandonare per un giorno i cellulari e manifestare in strada. Non si è raccontato dei lavoratori che hanno aderito a uno sciopero sapendo che il prezzo sarebbe stato un taglio in busta paga. Non si è raccontato della mobilitazione diffusa che ha unito generazioni e mondi diversi attorno a un’unica richiesta: cessate il fuoco in Palestina e stop alla collaborazione militare, politica ed economica con Israele.
Eppure, fanno rabbia questi pseudo-manifestanti pieni di rancore, che scelgono scientemente di rovinare tutto. Sono pochi, ma bastano a deviare lo sguardo collettivo, a spostare l’attenzione dai contenuti al caos. E come sempre accade, per dirla con il proverbio, finiamo per guardare il dito e non la luna: l’incidente di piazza e non la forza della mobilitazione civile.
I disagi non sono mancati: ritardi nei trasporti, la Stazione Garibaldi in tilt, traffico bloccato, servizi rallentati. Ma se i quotidiani scelgono di ridurre la cronaca a “disservizi e guerriglia”, ignorano un punto cruciale. Quelle stesse città sono abituate, ogni giorno, a disservizi che non hanno nulla a che vedere con la protesta: basta pensare alla Circumvesuviana e gli autobus di Napoli. E allora, se proprio bisogna restare fermi nel traffico, meglio farlo per un corteo che rivendica la pace, piuttosto che per l’inefficienza di chi governa.
La notizia vera, ieri, non erano gli scontri. Erano le piazze piene, la scelta di tanti di rinunciare a un giorno di stipendio o di studio per rivendicare un principio universale. Erano i volti di chi ha deciso che non bastano più i post indignati sui social, ma serve esserci.
Ma ancora una volta, il racconto pubblico ha preferito l’eccezione alla regola, la frattura al fiume umano. Così facendo, ha oscurato l’elemento più importante: l’Italia ha ancora cittadini pronti a mobilitarsi, nonostante il disincanto e la sfiducia. Una risorsa che meriterebbe di essere raccontata almeno quanto gli scontri.