Storia di un Principe

Non capita tutti i giorni che a uno spettacolo teatrale reciti un principe e racconti così senza filtri e senza veli la sua storia.
Succede. È accaduto, a Villa Di Donato lo scorso weekend quando il bellissimo scenario della villa aristocratica ha ospitato lo spettacolo “Barbari, Barberini e barbiturici. Tragedie ridicole di un principe sulle spine”, scritto dal regista e autore Daniele Falleri e da lui, il principe protagonista. Urbano Barberini.
Urbano è un principe autentico e non solo perché è davvero un principe e rappresenta i casati nobiliari dei Barberini, degli Sforza e dei Colonna di Sciarra ma perché l’autenticità è la sua forza. Si pone in modo umile, straordinariamente vero, e squisitamente auto ironico e porta in scena non solo la Storia, la grande Storia che si intreccia alle vicende della sua famiglia, ma una storia di diversità. Perché essere un principe nel tardo Novecento non è stato facile e non lo è tuttora.
Già conciliare quell’educazione formale e retrò da perfetto gentiluomo con i modi dei suoi coetanei, giovani di fine anni Settanta a cavallo tra gli anni di piombo e l'edonismo reaganiano, deve essere stato un bel compito.
A ciò si aggiunge la sua vocazione per il teatro. Quel teatro iniziato per caso e poi diventato la chiave di volta della sua vita, grazie anche all’incontro con Franca Valeri.
Il principe non ha ritrosie nel raccontarsi, nel raccontare le sue difficoltà a scuola quando era accompagnato da un autista improbabile e portava i vestiti del principe, calzettoni al ginocchio, pantaloncini di velluto e scarpe di vernice con la fibbia dorata, tra i pariolini vestiti alla moda del tempo.
E non ha timore neanche a raccontare il suo rapporto difficile con una madre presa da tante occupazioni e da tante distrazioni.
Quel materno cercato, desiderato e voluto l’ha ritrovato molto dopo nel suo mentore artistico, la grande Franca.
Di lei Urbano dice che da quando recitarono insieme un testo francese “Mal di madre”, era iniziata per lui un’esperienza catartica. Lì aveva fatto fuori metaforicamente il suo passato familiare e lì era rinato attraverso il rapporto con Franca Valeri che per Urbano è stata una figura materna finalmente nutritiva.
In quella occasione aveva conosciuto non solo la mamma adottiva artistica, Franca, ma anche l’attuale moglie Viviana, due femminilità che l'avevano riconciliato con il materno e che avevano riempito il vuoto antico della madre.
Non solo in scena ma anche nel suo libro “La Bellezza nel destino”, Urbano ci racconta la sua famiglia, lo ha fatto per mettere ordine e per lasciare in ordine la Storia della sua famiglia da regalare al figlio.
Nel suo casato si susseguono quattro Papi e tante figure particolari che attraversano la grande Storia da papa Urbano VIII, a Cornelia Costanza, a Maffeo Sciarra.
Si racconta volentieri, Urbano, perché per lui sono importanti le parole ma ama anche il silenzio.
Come dice accorato e senza veli se due persone che non stanno bene insieme sono in silenzio, quel silenzio è greve, pesante, doloroso, se invece come capitava a lui con la Valeri che era donna essenziale, c'è intesa, sintonia e affetto, il silenzio è un vuoto pieno.
Diventa porta per esserci profondamente e per rilassarsi nella pienezza.
Il sipario cala a Villa Di Donato e si esce da quella villa come se si uscisse dal passato, il passato dei principi e della nobiltà del cuore, non solo formale.
Da quel passato lontano resta un’esperienza particolare. Di essere andati a teatro a conoscere un principe moderno, un uomo semplice, diretto e senza fronzoli. Con la ricchezza dell’Essere negli occhi, la trama della Bellezza nelle parole e la verità nel gesto.
Immagine di copertina di Dmitrij Musella